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KAPIL INTERVISTA AVIKAL COSTANTINO

K – CHE COS’E’ IL LAVORO SULL’ESSENZA?

A – E’ sicuramente una domanda non facile a cui rispondere, perché definire l’essenza vuol dire definire l’essere, e definire l’essere è impossibile. E’ molto facile definire la personalità, visto che è falsa ed è un’imitazione, ma definire l’essere è praticamente impossibile. Il lavoro sull’essenza ha a che fare con come l’Essere si manifesta attraverso delle qualità specifiche universali che possiamo riconoscere in noi stessi, nelle altre persone e in genere in tutta la realtà intorno a noi.

Il lavoro sull’essenza, così come è presentato nel training, affronta ed include i vari livelli: personale, relazionale e universale.

Il primo di questi livelli è il lavoro attraverso i Lataif. Lataif è una mappa creata originariamente dai Sufi (ma si può trovare qualcosa di molto simile anche nella tradizione Buddista Tibetana) che include quelle che loro chiamano le manifestazioni sottili dell’essere. Infatti Lataif è una parola araba che vuol dire “sottile”. Queste manifestazioni sottili fondamentali sono 5, e sono: la volontà, la forza, la pace, la compassione e la gioia e corrispondono a 5 colori: il bianco, il rosso, il nero, il verde e il giallo ed hanno anche centri specifici nel corpo.

Una seconda parte del lavoro sull’essenza, ha che fare con il capire come queste qualità si manifestano originariamente nelle diverse fasi di sviluppo del bambino, e come attraverso il condizionamento familiare, sociale, religioso e così via, perdiamo la connessione, il contatto con queste qualità, e quali sono gli effetti di questa perdita. Quando perdiamo il rapporto con l’essenza, quindi con la nostra vera natura, e creiamo un’imitazione con cui ci identifichiamo: la nostra personalita’. Essa e’ una falsa identità, quella che viene chiamata “una fissazione”. Le fissazioni sono raggruppate in una mappa, che è quella dell’Enneagramma, che vuol dire appunto “9 tipi”, e questa è un’altra parte di questo lavoro sull’essenza che e’ usato per chiarificare gli elementi di meccanicità del nostro comportamento.

Un terzo elemento fondamentale del lavoro sull’essenza è il lavoro con il Superego, quindi il lavoro con il Giudice Interiore, che diventa il guardiano interno, e spesso anche esterno, della nostra personalità, dello status quo. Questa parte include una fusione della comprensione dello sviluppo essenziale la psicologica classica, fondamentalmente quella Freudiana, di rapporto tra Ego, Super-Ego e di quello che Freud chiama Id, cioè gli impulsi. Naturalmente fare una cosa del genere in 25 giorni è un’impresa (ride). Questo lavoro mi è stato passato da Faisal Muqaddam, che lo ha creato insieme ad Almaas, a metà circa degli anni 70 e che adesso è il direttore del Diamond Logos. Quando Faisal ha definito questo approccio “high-tech spirituality”, cioè spiritualità ad alta tecnologia. Ed effettivamente la sintesi di tutti quanti questi elementi a cui prima ho accennato, permette di creare uno strumento di comprensione della nostra realtà interiore che è estremamente preciso. Il lavoro sull’essenza e’ stato quindi rielaborato, approfondito in certi elemnti e snellito in altri e, come l’Integral Being Institute lo propone è stato, nella mia esperienza personale, e può essere, un ponte tra la terapia e la meditazione. Se volete anche un ponte tra la personalità e lo spirito.

K – A CHI E’ RIVOLTO QUESTO TRAINING SULL’EZZENZA?

A – Intanto, ci tengo a dirlo, è un training esperienziale sull’essenza. Esperienziale sull’essenza vuol dire che questo training ha come scopo fondamentale quello di dare ai partecipanti degli strumenti per comprendere e fare l’esperienza delle qualità essenziali fondamentali. Quello che dicevo prima: la pace, la gioia, la compassione, la forza e la volontà. Non si tratta semplicemente di avere informazioni o di avere delle definizioni, si tratta si riconoscere come in ognuno di noi si manifestano queste qualità universali, e come queste qualità universali assumono anche connotazioni personali e uniche, a seconda della persona in cui si manifestano. Quindi possiamo vedere noi stessi ognuno come un cocktail diverso, che ha tutti questi elementi all’interno, che sono appunto universali, per cui li ritroviamo in te, in me, in tutti quanti, però ogni cocktail, ogni mescolanza, è leggermente diversa, o molto diversa, dalle altre. Allora diciamo che la cosa fondamentale è avere la capacità di usare la personalità e le tematiche della personalità in maniera creativa, costruttiva, inclusiva, per passare attraverso queste tematiche a un’esperienza dell’essenza.

Questo è già un modo di avvicinare le personalità molto diverso dal solito, nel senso che in questo insegnamento la personalità non è vista come qualcosa che va rifiutato, qualcosa che è sbagliato, qualcosa contro cui combattere, ma è vista semplicemente come un tentativo inconscio del nostro sistema di riproporre, di rimanifestare qualità essenziali con cui abbiamo perso il contatto. E allora, se noi capiamo la personalità invece di lottarci contro, se noi riduciamo la conflittualità o addirittura togliamo di mezzo la conflittualità con la personalità, possiamo usarla per rientrare in contatto con delle qualità essenziali. E lo possiamo fare attraverso delle aperture particolari, che esistono nella personalità, e che in questo sistema vengono chiamate “i buchi”.  Questi buchi sono delle sensazioni di mancanza, di assenza, di cui tutti noi facciamo esperienza nella nostra vita, spesso non sapendo cosa è che ci manca, cosa è che è assente. Quando noi, invece di rifiutare questa sensazione, ci stiamo dentro e investighiamo, facciamo inchiesta su che cos’è questa sensazione, su com’è che si manifesta in noi, allora possiamo usare questa porta per ricollegarci con la qualità essenziale con la quale abbiamo originariamente perso connessione. Faccio un esempio: l’avidità. L’avidità è una cosa che tutti condannano. Tutti dicono: l’avidità è sbagliata, non bisogna essere avidi, e così via. Però la realtà è che in un modo o nell’altro, siamo tutti avidi. Ci sono quelli che sono avidi di denaro, ci sono quelli che sono avidi di successo, ci sono quelli che sono avidi di amore, ci sono quelli che sono avidi di passione, ci sono quelli che sono avidi di spiritualità e illuminazione e così via. Condannare l’avidità, semplicemente dicendo che è una cosa sbagliata, non serve fondamentalmente a niente se non a farci sentire in colpa e a negare qualcosa che c’è. Allora una domanda molto più intelligente è quella di chiedersi “Come mai c’è questa avidità? Cosa c’è dietro a questo desiderio di possedere, di avere, sia che siano cose materiali, sia che siano cose immateriali, cos’è questa voglia di avere?” Ora, se noi indaghiamo profondamente e andiamo dentro questo buco, in cui sentiamo che ci manca qualcosa, quindi vogliamo qualcos’altro, abbiamo il bisogno di possedere qualcosa o qualcuno, stando lì e ricercando, prima o poi finiremo nel ricollegarci con quella che è una memoria profonda del fatto che noi, quando siamo nati, e nei primi mesi di vita, eravamo tutto. Non avevamo niente, ma eravamo tutto. Cioè c’era una completa unità a livello dell’essere. Questa unità è stata distorta, è stata danneggiata, per cui cerchiamo di ricostruire questa unità possedendo oggetti, quindi avendo cose, invece che essendo noi. Allora dietro l’avidità in realtà ci stà un senso dell’unità dell’esistenza. Allora è chiaro che se noi condanniamo questa cosa che succede nella personalità, l’avidità, non riusciremo mai a capire cosa è che si nasconde dietro, qual è la qualità essenziale che in realtà noi vogliamo riconquistare o con cui vogliamo riconnetterci.

La domanda era anche a chi e’ rivolto, giusto? Fondamentalmente è rivolto a tutti quanti, a tutti coloro che vogliono avere un’esperienza più diretta, e anche piu’ profonda, di quello che è il proprio essere e di come questo essere si manifesta in modi differenziati. Si rivolge a coloro che hanno la chiara sensazione che c’è di più nell’esistenza di quello che sembra esserci offerto dalla vita quotidiana.Si rivolge sicuramente a terapisti, a persone che lavorano con altre persone, in quanto gli può permettere, non soltanto di avere un’esperienza personale di qualità essenziali, ma anche di essere in grado di imparare a riconoscere come queste qualità esistono nelle altre persone, e imparare a sostenere queste qualità in se stessi, e quindi anche negli altri. Si rivolge a persone che sono sia terapisti nella maniera classica, tipo psicologi, o psicanalisti e persone del genere, sia a terapisti del corpo, nel senso che le qualità essenziali non sono delle astrazioni, non sono delle qualità astratte mentali o ideali, sono delle presenze energetiche e anche con qualità proprio fisiche. Per cui per esempio, la qualità essenziale dell’oro o della fusione, è una qualità fondamentale che può essere utilizzata per ristabilire e pacificare il sistema nervoso. Mentre invece la qualità rossa o la qualità della forza è molto utile per tutto quanto riguarda il sistema muscolare. E così via. Il bianco ha a che fare con la spina dorsale, ha a che fare con particolari organi. Per cui ogni qualità essenziale esiste fisicamente nel corpo, non è un’astrazione, e quindi può essere usata per indirizzare in un modo particolare la ricerca attraverso il lavoro nel corpo. O anche per attivare particolari forme di guarigione, anche per risolvere particolari patologie a livello fisico. Per esempio, noi sappiamo, usando questo sistema, che la maggioranza delle malattie che hanno a che fare con la pelle, hanno a che fare con quello che noi chiamiamo lo strato della fusione negativa con la madre. Che è uno strato particolarmente importante formatosi nei primi 3, 4 mesi di sviluppo dell’infante, e che ha a che fare con la qualità rossa, l’essenza rossa e l’essenza gialla. Per cui lavorando sull’essenza si può, da un’altra direzione, intervenire sul corpo e sull’origine di tutta una serie di disfunzioni a livello fisico.

K – QUALI SONO GLI EFFETTI O I BENEFICI, A PARTE QUELLI CHE HAI GIA’ DESCRITTO, PUO’ AVERE QUESTO TIPO DI TRAINING SULLE PERSONE?

A – Innanzitutto parlo della mia esperienza personale, oltre a quello che ho visto nelle persone intorno a me e a cui ho fatto formazione in questi ultimi 14-15 anni. Questa mappa, questa comprensione, dà un grande senso di rilassamento e di pace interiore. Il fatto di smettere di vedere la personalità come qualcosa di negativo, di sbagliato, contro cui combattere, con cui incazzarsi, da rifiutare, e così via, ma semplicemente vedendola come un tentativo infantile, distorto, di ritornare a casa, di ricreare una connessione con l’essenza, può dare un rilassamento profondo, perchè toglie di mezzo uno dei conflitti, forse il conflitto principale che noi abbiamo: il fatto di voler tornare a casa e di combattere contro noi stessi per farlo. Questo superamento di un conflitto tra personalità, falsa identità e identità Essenziale, crea un’enorme rilassamento e accelera enormemente il processo di crescita. Perché togliamo di mezzo quello che è un freno fondamentale, cioè il fatto di rifiutare ciò che noi sembriamo essere nella personalità. Mentre invece il fatto di lavorare con l’essenza nei modi che ho tracciato prima, ci permette di capire perché siamo in un certo modo, perché funzioniamo in un certo modo, e come usare questo funzionamento per rientrare in contatto con la nostra vera natura.

L’altro beneficio che sicuramente è quello fondamentale è che quando noi apriamo le porte all’essere…(ride) l’Essere arriva. L’Essere arriva, e comincia a fare il lavoro per noi, nel senso che quanto più si manifesta l’Essenza tanto meno c’è bisogno per noi di fare qualunque cosa, ma si lascia proprio che siano le qualità essenziali a fare ciò che c’è bisogno. Io ricordo per esempio quando ho fatto il mio primo training con Faisal, che ricevetti una sessione durante il training, e dopo pochi secondi che la sessione era cominciata, andai a finire immediatamente nell’essenza nera, nell’essenza della pace e del potere personale. Alla fine della sessione Faisal mi dette quello che io considero uno dei consigli migliori che ho mai ricevuto, poiché mi disse: “Tu da adesso in poi non fai più i conti con nessuna tematica. Semplicemente vai nell’essenza nera e lascia che l’essenza lo faccia per te.” Ed è proprio così. Cioè, nel senso che una volta che noi apriamo le porte all’essere, l’essere ci riempie di doni, di gioielli, di possibilità, che magari fino a qualche momento prima sembravano assolutamente impossibili.

Un terzo elemento, che è successo a me ma che ho visto succedere a molte persone coinvolte con questo lavoro, è che all’improvviso tutta una serie di elementi di comprensione che sembravano sparsi qui e lì, cominciano a collegarsi l’uno con l’altro. Quindi, l’essenza funziona come una specie di internet interiore, che comincia a ricollegare tutta una serie di aspetti della nostra esperienza che apparentemente sembrano distaccati. Così come avviene quando uno fa una buona sessione di Cranio-sacrale, che arriva lì e sente la gamba separata dal naso, il naso separato dal polmone, il polmone separato dal ginocchio, il ginocchio separato dal culo, e così via, e alla fine della sessione uno dice “Ah, il mio corpo è intero!”. La stessa cosa avviene attraverso l’essenza: l’essenza crea unità. Ed è ovviamente un’esperienza meravigliosa. E’ un’unità tra la personalità e l’essere, il relativo e l’assoluto, il manifesto e il non manifesto.

K – ALLORA AVIKAL, HAI MOLTI ANNI DI ESPERIENZA DI LAVORO SUL CORPO, COME SI PUO’ INTEGRARE QUESTO TIPO DI LAVORO CON UN QUALSIASI TIPO DI LAVORO SUL CORPO, IN QUESTO CASO IL CRANIO-SACRALE, MA PUO’ ESSERE LO SHIATSU, O IL REBALANCING, O L’HARA, ?

A – Allora, fammi partire al contrario, cioè nel senso che proprio pochi giorni fa, alla fine di un altro gruppo che fa parte del lavoro sull’essenza, io domandavo a me stesso cos’è che mi aveva aiutato in questi anni a trovare un rapporto così velocemente con questo lavoro. E anche con la manifestazione pratica, momento per momento, delle mie qualità essenziali. E la risposta era, il mio rapporto con il mio corpo. Cioè il fatto di aver fatto tanto lavoro sul corpo mi ha permesso, mi permette, di avere un rapporto con l’essenza che non è astratto, non è teorico, non è ideologico, è fisico, è presente nel corpo. La forza e la volontà e la compassione non sono un’astrazione, non sono dei buoni ideali del buon sannyasin, del buon cristiano o della buona persona, sono manifestazioni reali che esistono a livello fisico, energetico, emozionale, mentale, spirituale, in noi. E ovviamente, visto che viviamo in un corpo, il fatto di poterle sentire a livello fisico, ci permette di averci un rapporto molto più intimo. Avere un rapporto con la mia anima a livello fisico, è possibile. Non è un’idea, l’anima non è un’idea. L’anima è una manifestazione del flusso della consapevolezza momento per momento, nel corpo. E quindi questo è nelle cellule. Il fatto di avere un rapporto buono con il proprio corpo, o di lavorare con il proprio corpo o con i corpi altrui, accelera enormemente la comprensione della presenza dell’essenza. E viceversa. Nel senso che quando noi cominciamo a sentire la presenza di qualità come la compassione, o la guida, o il valore, a livello fisico, è una beatitudine, è un’estasi, è una sensazione di grande pienezza e di grande realtà. Cioè, sappiamo, cominciamo a sentire che siamo veri. Che al di là delle maschere che portiamo, e al di là della falsa personalità, al di là dell’identificazione con queste cose fasulle, c’è qualcosa in noi che è assolutamente vero, reale, presente, che può essere sentito, percepito, e usato, condiviso. Si, proprio a livello del corpo fisico. E toccato. Per cui, per esempio, una parte dell’insegnamento dell’essenza ha a che fare proprio con la maniera in cui diverse qualità essenziali si manifestano nel corpo fisico, attraverso degli strati. Ricordiamoci anche che allo stesso tempo il nome Lataif di questa mappa vuol dire “i sottili”. Quindi vuol dire anche che, attraverso il lavoro con l’essenza, si aprono dei canali di percezione a livello interiore ma anche esterno, che ci fanno vedere, sentire, toccare, una realtà diversa da quella a cui normalmente siamo abituati. Che per esempio è molto facile toccare in un bambino, quando ancora è molto piccolo. Ed è molto più difficile toccarlo, sentirlo e vederlo, in un corpo irrigidito, in una mente e in un cuore irrigidito di un adulto. Ma in un bambino è molto più facile vedere, ad esempio, la forza. O vedere la curiosità e la gioia. Sono evidenti, si possono sentire toccando il corpo fisico, questo movimento di champagne, di bollicine che esiste dentro il corpo di un bebè. In noi lo sentiamo, per esempio, in momenti di amore, in momenti di meditazione, in momenti di grande presenza. In genere non sono molto percepite le qualità essenziali. Però le abbiamo, le conosciamo, si tratta solo di riconnetterci esse.

LA PECORA, LA TIGRE E L’INCHIESTA

Probabilmente conosci la storia della tigre che credeva di essere una pecora; Osho ha usato molte volte questa parabola nei suoi discorsi. E’ la storia di un cucciolo di tigre che, rimasto orfano, cresce in mezzo ad un gregge di pecore convinto di essere una di loro. Questa confusione d’identita’ non e’ rara anzi, e’ la norma.

Noi tutti viviamo in questa confusione di base rispetto alla nostra natura. Abbiamo un nome, abbiamo un genere, siamo nati da qualche parte, abbiamo certi parenti e cultura e religione, abbiamo cose che ci piacciono e cose che non ci vanno, abbiamo “la nostra vita”, “la nostra storia personale” e crediamo, spesso anche dopo molti anni di meditazione, che quelle cose sono cio’ che siamo.

Parliamo con la voce delle pecore, ci vestiamo con abiti da pecora, abbiamo lavori da pecore e quando siamo nei guai andiamo a fare terapia per pecore e dove una pecora terapista ci dice che abbiamo un problema di identita’ e che se respiriamo di piu’ o lasciamo andare un po’ le emozioni o facciamo qualche anno di analisi, alla fine saremo pecore migliori e probabilmente risolveremo i nostri problemi di codipendenza con altre pecore.

Quando niente funziona veramente, allora corriamo da una  maga che ci legga i tarocchi o, meglio ancora, ci facciamo fare una bella sessione di channeling: qualunque cosa purche’ ci dicano cosa fare, dove siamo e soprattutto CHI siamo. Cosi’ possiamo respirare di nuovo, almeno per un po’.

Sfortunatamente, quell senso profondo di essere fuori posto, quella sensazione di non appartenenza e di isolamento non ci abbandonano, senza riguardo a quanti cerotti ci mettiamo sopra.

Da qualche parte nella profondita’ del nostro cuore abbiamo sempre saputo che c’e’ qualcosa di strano in questa storia di pecore ma non abbiamo mai avuto il tempo o un’intenzione chiara di guardarci dentro, una volta per tutte.

Si, sappiamo che siamo stati condizionati, programmatic, feriti, usati e abusati e tutte quelle altre cose che fanno parte dell’essere nati in una famiglia su questo pianeta e abbiamo passato un sacco di tempo, e speso un sacco di soldi e energia, a guardarci dentro e cercare di capire cos’e’ che non va e si’, le nostre vite sono forse piu’ piene e soddisfacenti e abbiamo accettato un po’ ciò che siamo ma: CHI SONO IO? Ho sentito Osho dire che e’ con questa domanda che tutto realmente inizia. Quando posso guardare le mie storie e tutto ciò (incluso essere un “ricercatore”) che compone “la mia vita” e semplicemente riconoscere che non so, che non ho la benche’ minima idea di “chi sono io”, allora, proprio in quell momento il mio viaggio fa un salto quantico.

La realizzazione che:”IO NON SO CHI SONO” immediatamente implica che non so chi e’ l’altro, o la vita, o la liberta’ , o l’amore, o la verita’ e che sto vivendo con una falsa identita’ in mezzo ad altri che vivono nella stessa ignoranza,  cercando di risolvere falsi problemi e trovando false soluzioni. Immediatamente arriva la comprensione che cio’ che io credo essere “ME” e la “MIA VITA” sono concetti piu’ sotttili dell’aria che stai respirando in questo momento.

La storia continua con una vecchia tigre che vedendo il tigrotto che si muove in mezzo al gregge lo insegue e lo spinge a specchiarsi in un lago perche’ veda che lui e la vecchia tigre sono simili. Questo e’ cio’ che fa il Maestro. Con le sue parole e i suoi silenzi, con il suo toglierti tutti i tuoi ideali e concetti, con lo spingerti o il sedurti a guardare la tua imagine  e la falsa personalita’ con cui ti vesti. E lo scopo finale di tutto cio’ e’ portarci sul terreno fondamentale: “CHI SONO IO?” Quando finalmente il non-sapere e’ riconosciuto e digerito allora L’INCHIESTA diviene la motivazione di ogni momento: un’apertura a quella che e’ la nostra esperienza qui/ora, libera, spontanea, piena d’innocenza. Inchiesta non e’ un’atteggiamento di analisi di tutto cio’ che avviene cercando di capirne il senso, inchiesta e’ il succo della nostra presenza, e’ intrinseca al nostro essere presenti. E’ sorpresa e curiosita’ e un desiderio di essere cosi’ vicini a cio’ che e’ che non abbiamo bisogno di aggrapparci a pregiudizi, giudizi o posizioni, possiamo essere aperti e disponibili all’esperienza.

Inchiesta non cerca risposte, sistemi, rivelazioni ultime, inchiesta ci apre all’ESPERIENZA DIRETTA di chi siamo momento dopo momento e ci insegna a rilassarci e godere. Allora un profondo ruggito di soddisfazione nascera’ dalla tua gola quando meno te lo aspetti.

Una barzelletta: Un affollato volo dell’Alitalia fu cancellato. Una singola agente stava rivedendo le prenotazioni per una lunga coda di clienti. All’improviso un passeggero molto incazzato si fa strada fino al bancone e, sbattendovi sopra il suo biglietto esclama: “IO DEVO essere su questo volo e deve essere IN PRIMA CLASSE!”. L’agente rispose:” Mi dispiace signore. Sarò molto contenta di accontentarla appena finito con queste persone.” Il passeggero, per niente impressionato disse a voce alta, per essere sentito da tutti ; “MA LEI LO SA CHI SONO IO?” Senza esitazione l’agente dell’Alitalia sorridendo afferrò il microfono per le comunicazioni pubbliche: “ La vostra attenzione per favore, abbiamo qui all’uscita 14 un passeggero che non sa chi è. Se c’e’ qualcuno che puo’ aiutarlo a trovare la sua identità venga a questa uscita”. Mentre la gente dietro di lui se la rideva a crepapelle il passeggero disse tra i denti “ Fottiti”. Senza scomporsi la signorina sorrise e disse: “Mi spiace signore ma anche per questo dovrà mettersi in fila!”.

…E LA MIA VITA DI OGNI GIORNO?

Cosa succede allora ai miei problemi, le mie tematiche, le mie passioni, il mio amore e I mie aneliti, le mie relazioni e tutto cio’ che chiamo vita? Cosa succede a tutte quelle belle cose a cui sono tanto attaccato? La cosa strana e’ che tutte quelle cose diventano nostre amiche. Quando io lentamente lascio andare le idee e i concetti  su chi credo di essere e apertamente mi impegno nell’inchiesta, un sacco di pesantezza – quella che in momenti disperati chiamiamo “la mia merda” – scompare. Tutte queste COSE che sembrano riempire la mia vita tirandola qui e li’ cominciano ad apparire non piu’ come ostacoli e impedimenti ma piuttosto come opportunita’ e possibilita’, porte che ci aprono una piu’ profonda intimita’ con noi stessi. Nell’esperienza vissuta del Vuoto che io sono, tutte queste COSE divengono pietre che lastricano il tuo camino, fiori ai bordi della strada, cancelli verso nuove capacita’, riflessi che l’Essere ci offre per conoscere noi stessi. E ognuna di esse e’ SCONOSCIUTA e di ognuna posso fare l’esperienza e ognuna e’ parte di quello/chi sono io in questo momento. Una grande integrazione avviene attraverso l’inchiesta. Un’integrazione che include la pecora e la tigre e il topo e qualunque cosa si manifesti e tutto questo sono io, tu, noi.

LA PASSIONE D'ESSERE SE STESSI E GLI OSTACOLI DEL CAMMINO.

Se anche tu sei uno di quelli con questa folle passione di essere te stesso e sei stato morso dalla curiosità e ti trovi quindi a farti domande qua e là e, soprattutto, se ti domandi cose come: ”Chi sono io?, Che ci faccio qui?, Cos’è l’amore?”,.sta attento perché dovrai fare i conti con Medusa prima di essere ammesso al prossimo livello.

Lei è il mostro del giudizio e del pregiudizio che sbarra la strada alla possibilità di fare l’esperienza diretta di se stessi e della realtà. Usa strumenti come il senso di colpa, la vergogna, le opinioni, i criteri di comportamento ed altro ancora. Mi ricordo che avevo 12 o 13 anni quando per la prima volta mi accorsi della presenza del mostro dentro di me. Stavo camminando nelle strade di Venezia quando sentii qualcosa di simile ad un muro che mi circondava: un muro che creava una barriera invisibile tra me e gli altri ed una bufera dentro i suoi confini.

Molti anni dopo capii che quel muro era uno dei sintomi della presenza di Medusa. Molti anni dopo avevo raccolto sufficiente comprensione e capacità per essere in grado di riconoscere la presenza del giudice interiore, i suoi attacchi, le sue strategie, le sue funzioni e soprattutto il dolore e la separazione che crea. Com’è che questo mostro, anche chiamato superego, il critico interiore o il cane che abbaia, mantiene il controllo? Osserva questo momento e nota la tua esperienza: forse è il modo in cui sei seduta, o la sensazione dello schermo di fronte a te e delle lettere delle parole, o la luce e i suoni intorno a te…qualunque cosa sia, puoi notare che immediatamente vi è la presenza di un commento collegato alla tua esperienza: “mi piace, non mi piace, è buono, non lo è, mi fa sentire bene” o qualunque altro giudizio, valutazione o paragone. Il mostro è in azione: non ci lascia mai soli, è sempre lì a commentare, valutare ed elaborare. Appena facciamo I conti con un giudizio e creiamo un pò di spazio, se ne presenta un altro. Togliamo di mezzo un pregiudizio e compare il paragonarsi.

Come nel mito, quando l’eroe taglia un serpente dalla testa di Medusa immediatamente ne cresce un altro e probabilmente, come nel mito, possiamo essere liberi solo tagliando la testa. Ma non lo facciamo, al contrario, facciamo di tutto per far finta che il giudice non esista, per negare la sua presenza. Perché? Sopravvivenza è la semplice risposta. Siamo convinti nel profondo dell’essere che non possiamo sopravvivere senza il giudice. Il superego, che Osho chiama coscienza, è l’internalizzazione dei nostri genitori e di tutte le figure d’autorità del nostro passato e ci serve per garantire e mantenere la nostra sopravvivenza ed una certa salute mentale.

Ma, come sappiamo, sopravvivere e vivere non sono la stessa cosa. Lavorando con le persone e condividendo con amici ho avuto modo di osservare chiaramente che anche dopo anni e anni di meditazione e ricerca eravamo ancora nella prigione, appesantiti e sminuiti dalla presenza di questa agenzia coercitiva interna. Riconobbi tutto ciò anche osservando la mia paura e rabbia durante la pratica delle arti marziali, in molti anni di lavoro sull’Hara ed infine nel lavoro con Faisal Muqaddam e il Diamond Logos Teachings.

Diventò anche chiaro che non c’è risoluzione possibile di alcun conflitto interno (che sono sempre conflitti tra Ego e Superego) senza uscire radicalmente dalla negazione enorme della presenza del giudice e senza un confronto diretto con lui. Una volontà incrollabile d’essere libero. Nella tradizione mistica uno dei miti di questo scontro è la battaglia tra Davide e Golia. Allora, è la testa della medusa che va tagliata.

Abbiamo bisogno di una spada. Per fortuna non dobbiamo cercare tanto perché l’abbiamo già: la nostra consapevolezza. Ma presto ti accorgi che è inutile avere una spada se non sai usarla, devi praticare. Questa pratica è l’auto-inchiesta: significa che decidi che hai una missione – muoverti al prossimo livello – e che sei pronto a reclamare le ricchezze e l’abbondanza, i regali e la bellezza e tutte le sorprese che questa vita ti offre e che è arrivata l’ora di guardare il mostro in faccia. Ciò che produce l’auto-inchiesta è la comprensione. Comprensione non sul fatto che i giudizi siano giusti o sbagliati ma piuttosto del meccanismo psichico che li manifesta, li sostiene e del loro funzionamento. Attraverso l’auto-inchiesta arriva la realizzazione che ogni volta che “sei te stesso” si attiva il meccanismo e, attraverso varie forme di punizione (colpa, vergogna, sminuirsi ecc.), ti ritira verso “come dovresti essere” (bello, intelligente, gentile, spirituale, sexy, di successo, magro, forte, illuminato e tutti gli altri attributi che ti vengono in mente). Una volta che capiamo veramente come funziona il meccanismo e come ci attacchiamo ad esso, allora possiamo smettere di perdere il nostro tempo con i singoli giudizi (i serpenti) e siamo pronti ad usare la spada e tagliare la testa di Medusa.

L’ultima cosa di cui hai bisogno è d’imparare a stare allerta così da poter accorgerti quando Medusa ti attacca. Per essere allerta hai bisogno di essere presente ed il modo più facile per esserlo è stare nel corpo. Di nuovo puoi usare l’auto-inchiesta per imparare a portare questa presenza nel corpo domandandoti il più spesso possibile : Qual è la mia esperienza del mio corpo in questo momento?” così che ogni pensiero, ogni emozione o percezione sia riconosciuta nella sua manifestazione fisica in questo famoso qui/ora. Allora un giorno sei qui, presente nel corpo, allerta, con la spada della tua consapevolezza che brilla tagliente, e ti senti radicato e centrato e fiducioso perché ti sei allenato con dedizione e passione e vedi Medusa che si avvicina con il fuoco nei suoi occhi e ad un tratto tutto r a l l e n t a   i n s i e m e   a l  t u o  r e s p i r o  e tutto diviene così chiaro e definito come in un mattino cristallino sulla montagna, e tu ti lasci andare in questo momento… e senti così forte in te quel folle desiderio di essere te stesso…e elevi la tua spada, ti fermi a mezz’aria e, all’improvviso, riconosci anche in Medusa un’opportunità per praticare presenza.

Il fatto stesso di tornare al momento presente, il fatto stesso di coltivare la nostra attenzione e lo stare allerta, ci porta dove non abbiamo neppure bisogno di usare la spada e uccidere Medusa. I maestri Zen chiamano medusa il “Cane che abbaia”. Quando siamo presenti e allerta il cane può abbaiare ma non ci sono ripercussioni in noi o la necessità di interagire o difenderci dagli attacchi del superego. Abbaiare è la natura del cane così come giudicare e avere pregiudizi è la natura del superego. Non abbiamo bisogno di cambiarlo e non abbiamo bisogno di ascoltarlo. Una rilassata presenza prende il posto della negazione, essere allerta prende il posto della reattività. Trascendiamo integrando. In tutti i miei anni da ricercatore non ero mai venuto in contatto con alcun corso che trattasse specificamente del superego. È certamente presente in approcci terapeutici come Primal e Fisher-Hoffman ed è uno degli ostacoli principali da superare in processi radicali quali Satori e il Path of Love, ma in nessuno di questi gruppi la presenza del giudice viene affrontata direttamente.

Fu attraverso la mia associazione con Faisal Muqaddam e il Diamond Logos Teachings che nel 1997  ebbi chiara la necessità di creare un percorso specifico sul giudice interiore e la sua relazione con l’ego. Oltre a regolare la sopravvivenza, la funzione principale del superego è mantenere lo status quo creando confini con cui ci identifichiamo. L’esperienza di “spazio” che abbiamo a volte ha a che fare con la caduta o dissoluzione temporanea di uno o più confini e del giudice. In quello spazio l’Esistenza, l’Essere, Dio, l’Assoluto, ci inonda e riempie e per un attimo siamo di nuovo riconnessi con la nostra vera natura. Ho creato allora un gruppo nel quale la presenza del giudice può essere svelata, capita e trasformata.

Primo passo: accettare che il giudice dirige la nostra vita attraverso giudizi, opinioni, criteri, pregiudizi, ecc. e diventare consapevoli dell’ambiente limitato in cui viviamo  e delle strategie di controllo.

Secondo passo: capire perché abbiamo un superego, come si è formato, quali sono le sue funzioni e come, dove e quando ne abbiamo bisogno.

Terzo passo: imparare a difendersi consapevolmente dagli attacchi e le manipolazioni del superego e a dis-identificarsi sia dal superego (il genitore internalizzato che attacca) e l’ego (il bambino che reagisce).

Quarto passo: spostare l’attenzione alla vera guida interiore. Riconnetterci con la capacità dell’esperienza diretta e la conoscenza oggettiva. Osho chiama questo il movimento dalla coscienza alla consapevolezza.

“Non c’è alcun bisogno di sviluppare una coscienza. Ciò di cui abbiamo bisogno è consapevolezza non coscienza. Coscienza è una cosa falsa. La coscienza è creata dalla società, è un metodo sottile di schiavitù. La società ti insegna cosa è giusto e cosa è sbagliato e comincia ad insegnare al bambino prima che egli sia consapevole, prima che possa decidere da solo cosa è giusto e cosa è sbagliato, prima che sia consapevole di cosa gli succede, prima che si sia svegliato. Tutte quelle idee di genitori, di preti, d’insegnanti, di politici e santi, tutte quelle idee si mescolano dentro di lui e diventano la sua coscienza. E a causa di questa coscienza egli non sarà mai in grado di sviluppare la consapevolezza, perché questa coscienza è una pseudo consapevolezza. E se tu sei soddisfatto con quello che è falso non penserai mai a ciò che è reale… Ogni volta fai qualcosa che la tua coscienza giudica sbagliato ti senti in colpa, soffri, senti dolore dentro. Hai paura, tremi, c’è ansietà. È la paura di perdere il paradiso, è la paura dell’inferno, la paura che potresti andare nell’inferno… questa è la coscienza. La coscienza è arbitraria e artificiale. La coscienza è necessaria alla società che non ti vuole intelligente. E così invece di aiutarti ad essere intelligente ti da regole, leggi e ti dice come comportarti: non fare questo, non fare quello… All’inizio sarà difficile perché non avrai una mappa. La mappa è contenuta nella coscienza. Ti dovrai muovere senza una mappa, in territorio sconosciuto, senza istruzioni. I vigliacchi non si possono muovere senza istruzioni, i vigliacchi non si possono muovere senza mappe. E quando ti muovi con mappe e istruzioni non puoi entrare in nuovi territori, in situazioni sconosciute. Continui a muoverti nel conosciuto, non salti mai nello sconosciuto. Solo il coraggio può abbandonare la coscienza. Coscienza vuol dire tutta la conoscenza che hai già e consapevolezza vuol dire essere vuoto, completamente vuoto, e muoversi nella vita con quel vuoto, guardando attraverso quel vuoto e allora ogni azione ha una grazia incredibile. E tutto ciò che fai è giusto.” (Osho, The Fish in the Sea is not Thirsty, #11)

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